Nel regno della disabilità: le insidie di un’errata comunicazione

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colleghi in pausa caffè

Le insidie in agguato ​​nel cercare di leggere nella mente di un collega

di ISAAC Lidsky e 29 dicembre, 2016 The New York Times – Articolo originale leggi qui

Nella mia condizione di cecità,  sono spesso consapevole delle ipotesi erronee che fanno su di me alcuni miei colleghi. A volte le loro idee sbagliate sono trasparenti e palesi. Altre volte non sono esplicitate. Altre ancora sono da me immaginate, proiezioni delle mie ansie e insicurezze.

Considerate questo esempio: una mattina , ero nella sala pausa, e mi facevo il caffè con una macchinetta a capsule monodosi, quando una segretaria dello studio legale dove io lavoro, entrando prese rapidamente il sopravvento, insistendo nel fare per me il mio caffè.

Cosa avrei dovuto pensare? Pensava che fossi incapace di fare il mio caffè?

Sembrava in ansia per la nostra interazione, e mi contagiò. Sono perfettamente a suo agio con la mia cecità, e la mia routine del caffè, ma sentii sconfinare il suo disagio su di me, e ciò mi irritò notevolmente.

Cosa fare? Non mi piace particolarmente fare il caffè. Ma perchè qualcosa mi impediva ad accettare il favore e di andare avanti con la mia giornata? Perché non volevo cedere ai suoi pregiudizi, perchè questo avrebbe confermato le sue ipotesi sulle mie capacità, e così cedere alla sua ansia e farla mia.

“Apprezzo il tuo aiuto,” dissi. “Ma sono in grado di fare una tazza di caffè. Lo faccio ogni mattina.”

“Oh, lo so che lo fai, caro, ho visto che lo fai”, disse. “Ma butti via la capsula nel cestino della carta, e fai un pasticcio.”

Entrambi abbiamo riso, sollevati dell’ aver alleggerito l’aria. Non solo, ma grazie alla nostra conversazione, scoprii e giustificai la sua ferma resistenza ai miei sforzi di fare il caffè – e inoltre imparai l’ esatta posizione del cestino.

Concordammo così che in futuro lei avrebbe potuto fare il mio caffè al mio arrivo al mattino – non perché non fossi in grado di farlo, ma perché veramente poteva essere un pensiero carino e sincero. Non era davvero un grosso problema, ma apprezzai l’aiuto. Decidemmo inoltre che le volte che mi avrebbe visto fare un errore dovuto alla ma condizione di cecità, ne avrebbe semplicemente parlato.

Siamo tutti propensi a credere che possiamo vedere e leggere nelle menti degli altri, essere in grado di capire i loro punti di vista ed esperienze. La nostra mente è formata per farlo – di prevedere, di dedurre, di prendersi carico. In questo processo, inconsapevolmente edulcoriamo la realtà che ci porta a creare finzioni.

Nel regno della disabilità, le conseguenze di questo processo possono essere particolarmente perniciose. Ma il punto si estende a tutti gli esseri umani. Nella mia storia sul caffè, per esempio, io ero quello che ha elaborato i preconcetti erronei, e non il contrario.

La soluzione sta in una comunicazione efficace, ma questo è più facile a dirsi che a farsi. Troppo spesso nei luoghi di lavoro giochiamo con complesse dinamiche di competizione. Possiamo avere secondi fini, a breve e a lungo termine, personali e professionali. Si può agire al servizio di questi motivi, a discapito della sincerità e della chiarezza.

Mentre lavoravo in questa società, mi fu chiesto di preparare una relazione per uno dei suoi partner più influenti e di successo. Ho trascorso un paio di settimane elaborando un documento di 20 pagine che ho accuratamente documentato, ben strutturato, in maniera lucida e persuasiva. In realtà, ho pensato che fosse brillante. Soddisfatto del mio lavoro e desideroso di condividerlo, l’ho mandato al mio capo ed ho atteso la sua adulazione.

Balzò nel mio ufficio sorpreso dopo un paio di minuti. “Così sei in grado di inviare un’ e-mail?” Mi chiese.

Il suo stupore fu così evidente così come per me estremamente frustrante. Se fosse riuscito a fatica a credere che ero in grado di inviare un’ e-mail, che cosa pensava del documento in allegato? Se avesse supposto che avessi fatto affidamento su altri per utilizzare il mio computer, sicuramente avrebbe pensato che altricolleghi avessero contribuito al mio lavoro. Di quanto aiuto pensava avessi bisogno?

Ero arrabbiato. Ma per esperienza sapevo che la mia rabbia era inutile, così ho fatto un respiro profondo e considerato la mia eventuale risposta. Decisi che avrei affrontato per prima cosa la semplice domanda che aveva posto. Era curioso come un non vedente potesse inviare una e-mail, e che fosse inviata in maniera esatta. Con pazienza, gli mostrai come il software di lettura dello schermo mi permetteva di usare il mio computer.

Poi ribadii al nostro “ragazzo perspicace”: “Sai,” dissi, “Ho usato la stessa tecnologia per scrivere il memo che le ho appena inviato. Nessun altro ha lavorato con me. “

“Davvero?” Chiese, sorpreso ancora una volta in maniera evidente dal suo tono di voce.

“Davvero,” ho detto. “Questo è anche lo stesso software che ho usato come impiegato presso la Corte Suprema degli Stati Uniti. Nessuno mi ha aiutato nel mio lavoro, neanche lì. “

Ci fu una lunga pausa.

“Questo è incredibile”, disse.

“Sì, è un grande software,” dissi. “Grazie per la pausa di verifica.”

Dopo aver parlato con lui ulteriormente, mi resi conto che il mio lavoro era buono, ma non eccezionale. Il socio sollevò delle domande che non avevo preso in considerazione, e insieme considerammo ulteriori sfumature sulla mia analisi. Le sue intuizioni, nate dalla sua esperienza, furono preziose. Questa fu decisamente una conversazione produttiva.

Lavorammo bene insieme diverse volte prima che io lasciassi l’azienda, perché eravamo riusciti a rettificare le nostre idee sbagliate.

In tutta la mia vita lavorativa, ho imparato che quando si tratta di capire l’un l’altro, dobbiamo concentrarci su ciò che non sappiamo, non su ciò che pensiamo di sapere o che dovremmo sapere. Dobbiamo resistere alla tentazione di fare chiusura, e reagire dopo una riflessione senza giudizio verso gli altri. Dobbiamo superare la nostra paura di causare offesa e trovare fede nel potere delle intenzioni benevole. Si tratta di una disciplina che è difficile da raggiungere – ma che ne vale sicuramente la pena.

Autore dell’articolo Isaac Lidsky è il capo esecutivo di ODC costruzione a Orlando, in Florida, e l’autore delle prossime “Eyes Wide Open: superare gli ostacoli e le opportunità riconoscendole in un mondo che non può vedere chiaramente”. (TarcherPerigee).

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Esperienza di simulazione visiva

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Le attività di simulazione, che portiamo nelle scuole, nelle biblioteche o in ambienti di aggregazione sociale, oltre ad accrescere la consapevolezza delle abilità necessarie alla gestione della disabilità, consentono di dare un’idea delle potenzialità delle persone, portatori di handicap che, molto spesso, non sono considerate né sfruttate al pieno del loro potenziale. Ma soprattutto permettono di modificare atteggiamenti negativi e stereotipati nei confronti delle persone con disabilità. Per migliorare la comunicazione e le relazioni interpersonali tra i ragazzi è importante favorire lo sviluppo della comprensione attraverso “il fare”, di come le persone disabili imparano ad adattarsi e a rispondere affrontando i problemi che l’handicap comporta.

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Capire come può muoversi e che prove deve affrontare una persona con seri problemi visivi (ipovedente), grazie all’ausilio di simulatori che riproducono le diverse patologie e del bastone bianco, diventa semplice. Permette ai ragazzi di entrare nel mio mondo senza fraintendimenti, senza filtri. La percezione dell’ambiente conosciuto e di ciò che lo anima cambia, necessariamente. Anche il luogo a noi più famigliare può nascondere ostacoli e difficoltà spiacevoli quando il nostro campo visivo è compromesso. I nostri sensi si adeguano più o meno velocemente per permetterci di sopravvivere al cambiamento e cavarcela, sempre e in ogni situazione, mano a mano che prendiamo dimestichezza con la nostra mutata condizione. Questo succede a chiunque.

Essere proiettati in questa dimensione nuova provoca una serie di reazioni prevedibili, inevitabili, eppure sorprendenti. Il disagio, il fastidio, lo spaesamento dei primi istanti vengono sostituiti piano piano dall’attenzione al presente, da ciò che “sentiamo” attorno a noi senza poterlo vedere, e da un cambio repentino del nostro processo logico (per esempio la ricerca rapida di soluzioni per il superamento di quell’ostacolo che ci impedisce il movimento) e da una profonda attenzione alle sollecitazioni sonore, tattili, olfattive che solitamente passerebbero in secondo piano. La trasformazione si rende evidente: siamo gli stessi di prima, ma siamo diversi. Siamo stati costretti a ridurre il nostro campo d’azione, si sono ristretti i nostri confini visivi oggettivi, e abbiamo preso coscienza dei nostri limiti, è vero. Abbiamo anche, però, scoperto nuove risorse dentro di noi per adattarci e superare anche ciò che potrebbe sembrare insuperabile. Siamo pronti ad accogliere un’altra visione di noi stessi, pronti a offrirci al mondo così come siamo. Senza paura e senza vergogna. L’inalienabile diritto all’esistenza esplicitato nella condizione di dignità propria di ogni essere umano.”

Se sei un insegnante e vuoi portare il nostro progetto nella tua scuola, per informazioni contattaci: tuconimieiocchi@gmail.com

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CONVEGNO ” ARTE E DISABILITA’ “

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 arte e disabilità

CONVEGNO ” ARTE E DISABILITA’ “ –  FONDAZIONE SINAPSI – 15 maggio 2015

Molte le attività che la Fondazione Sinapsi realizza in favore di bambini e ragazzi non vedenti e/o pluriminorati in età scolare favorendone l’inclusione scolastica e sociale.

Per saperne di più:

Fondazione Sinapsi

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